In occasione del recente incontro di presentazione del Chronicon Glemonense, primo volume della collana Studi Gemonesi editi dall’Associazione Valentino Ostermann di cui si è già scritto [QUI], abbiamo intervistato Alida Londero, volontaria dell’Associazione e animatrice del Gruppo Archivi che opera all’interno della medesima.
 
Come è nato il Gruppo Archivi?
Nel 2006, poco dopo la nascita dell’Associazione Ostermann, è stato attivato un laboratorio di lettura di documenti archivistici che si affiancava all’attività del settore principale dell’associazione, quello archeologico. Attraverso questa prima esperienza si è consolidato quello che ha preso il nome di Gruppo Archivi e che ha conservato il suo carattere di laboratorio.
 
Quali sono gli obiettivi del Gruppo?
L’intento è quello di valorizzare il ricco patrimonio archivistico che Gemona può vantare. Un patrimonio che era ben noto agli studiosi e che aveva fornito materia per numerosi studi, in particolare con il rientro a Gemona degli archivi custoditi presso la Soprintendenza Archivistica di Trieste dopo il terremoto. Noi – vale a dire il nostro gruppo eterogeneo di persone – pensavamo che gli archivi potessero essere esplorati anche da non specialisti, e che alcuni documenti potessero essere proposti alla popolazione, o almeno alle persone interessate, nella loro immediatezza di testimonianze.
 
Su quali temi e su quali epoche avete orientato la vostra attenzione?
Nel corso degli anni abbiamo indagato dimensioni poco studiate della storia locale, attinenti per lo più alla storia sociale (storia delle donne, religiosità popolare, aspetti economici, ecc.), allargando lo sguardo oltre la cinta delle mura per considerare l’intero territorio su cui la Comunità di Gemona esercitava la giurisdizione (e non solo la realtà urbana). Abbiamo rivolto l’attenzione al tardo medioevo patriarcale, ma spingendoci sempre più verso l’età moderna, poiché riteniamo che l’età veneziana sia un periodo poco considerato negli studi di storia locale ma contrassegnato da importanti trasformazioni, quindi di grande interesse. In questi mesi stiamo portando avanti il percorso “Sulla strada d’Alemagna”, dedicato alla grande via commerciale che, attraverso Pontebba, collegava l’Europa centrale con Venezia, scorrendo in prossimità di Ospedaletto e Gemona.
 
Con quali modalità opera il Gruppo Archivi?
La nostra attività si articola su due piani. All’interno del gruppo, durante incontri più o meno quindicinali, si procede alla lettura e all’interpretazione di documenti reperiti negli archivi, si fanno e discutono proposte, si mettono a punto i progetti. Nelle serate aperte alla popolazione diamo un esito pubblico alle nostre ricerche più significative proponendo conferenze ed altre manifestazioni. La collaborazione della compagnia teatrale DrèteLedrôs ci ha consentito di presentare numerose “storie trovate negli archivi” in forma di lettura scenica, una modalità che ha incontrato sempre un buon riscontro nella partecipazione. Ricordo alcuni titoli: Margareta ribalda (un processo per stregoneria), Questa chiesa fu sempre retta dai laici (una controversia concernente la chiesa di Santa Maria la Bella), La stupenda ruina (eventi dell’anno 1511), Un piatto di crauti con il boia (una condanna per furto), Intant che l’Amalteo al piturave (fatti dell’anno 1533), La storia di Zuanina che non volle farsi monaca. Queste esperienze sono sempre inserite in percorsi tematici che si sviluppano nell’arco di alcuni mesi e prevedono una serie di iniziative aperte alla popolazione. L’allargamento della prospettiva per il superamento di una visione troppo localistica e, se possibile, per stabilire un raccordo con situazioni e fenomeni attuali è assicurato dagli interventi generosi di studiosi esterni, alcuni provenienti dalle Università di Udine e di Trieste, altri forniti di una competenza di origine non accademica. Il Gruppo Archivi, con il sostegno operativo del Direttivo dell’Associazione Ostermann, promuove almeno una decina di serate all’anno.
 
Nel corso degli anni il Gruppo Archivi, dunque, ha intrapreso vari progetti. Quali i più significativi?
Particolarmente degne di nota, a mio parere, le serie di manifestazioni – promosse in stretto accordo con gli “archeologi” – mediante le quali abbiamo inteso stimolare l’attenzione verso elementi del patrimonio storico-artistico di Gemona che a nostro parere meritano una maggiore valorizzazione: mi riferisco ai cicli di incontri dedicati all’antica chiesa di Santa Maria la Bella e al soffitto della chiesa di San Giovanni (entrambe distrutte dal terremoto). I dodici incontri – tutti piuttosto affollati – dedicati ai “Tempi dell’Amalteo” non sono certo serviti a trovare una sistemazione ai lacunari dipinti nel Cinquecento da Pomponio Amalteo, ma forse hanno contribuito a diffondere la conoscenza di questo nostro tesoro nascosto e assieme ad essa la convinzione che si debba trovare al più presto una soluzione che consenta di ammirarlo in un ambiente degno del suo valore artistico e idoneo per dimensioni, pari a quello che gli amministratori del Cinquecento hanno voluto riservargli nella chiesa di San Giovanni.
 
Di recente l’attenzione del Gruppo Archivi è stata orientata anche all’attualità, non solo al passato.
Ultimamente l’associazione – non specificamente il Gruppo Archivi – ha volto la sua attenzione al tema dell’utilizzazione degli spazi del castello ricostruito, sul quale è stato prodotto un documento assieme all’Ecomuseo delle Acque del Gemonese e a Legambiente. Da cittadina, ritengo fondamentale che l’associazione di cui faccio parte esprima degli orientamenti e delle proposte inerenti al patrimonio culturale. Altrettanto importante è che queste azioni si intraprendano in collaborazione con altre associazioni tra i cui fini vi è la tutela e promozione dei beni storici e paesaggistici. Mi permetto di sottolineare che – almeno negli intenti – neanche le altre nostre iniziative sono sterilmente chine sul passato: è ormai convinzione diffusa che il patrimonio storico materiale e immateriale sia una delle risorse certe dell’Italia; farne emergere alcuni elementi, a partire dalla storia dei nostri paesi, significa dare valore e visibilità a questa idea. Al di là dei contenuti e della riuscita delle singole iniziative, noi operiamo con l’obiettivo di favorire attenzione e interesse verso la nostra storia e verso il patrimonio che le generazioni passate ci hanno consegnato, guardando a un futuro in cui l’una e l’altro siano fattori di crescita per le singole persone e per la nostra cittadina.
 
Com’è nato il progetto della collana Studi gemonesi?
Da anni circolava nell’Associazione Ostermann l’idea di dar vita a una rivista o a una collana di libri in cui si potesse dar conto delle esperienze più significative: uno strumento a disposizione dei vari settori, secondo le necessità e opportunità. L’anno scorso il Gruppo Archivi, che per sua natura produce molto materiale verbale, ha proposto di farsi carico del primo numero. Nel corso dei nostri incontri laboratoriali abbiamo letto e trascritto un documento inedito risalente agli ultimi anni del Quattrocento, a nostro parere meritevole di pubblicazione: un libro di conti di Sebastiano Mulione, tutore per conto della Comunità di Gemona del minorenne orfano Giacomo Caravelli; un rendiconto finanziario che assume la fisionomia di un diario, con aperture verso le istituzioni comunali, il diritto di famiglia, l’educazione, la cultura materiale. Prima di pubblicare questo documento abbiamo pensato che fosse opportuno dedicare un volume all’opera per cui il prete Sebastiano Mulione è noto, vale a dire il Chronicon Glemonense, proponendone la traduzione.
 
Qual è stato il percorso svolto, come si è sviluppato il progetto?
L’intenzione era di partire con un progetto facile, di veloce attuazione, in realtà il cammino è stato piuttosto lungo e faticoso. Infatti l’inesperienza di molti di noi – me compresa – ha obbligato a procedere lentamente, con revisioni ripetute dei testi e attente verifiche dei dati negli archivi di Gemona, Cividale, Udine. In compenso, si è trattato di un vero lavoro di gruppo, perché tutti i componenti hanno dato uno specifico contributo. Questo si deve considerare un aspetto altamente positivo, se si ritiene, naturalmente, che operare in un’associazione di volontariato richieda, oltre al risultato, anche la partecipazione consapevole di ognuno al lavoro che si sta facendo e l’affinamento delle competenze individuali. Per arrivare alla conclusione abbiamo impiegato alcuni mesi, ma si tratta di un’esperienza preziosa, che ci permetterà di procedere in futuro con più rigore e celerità.
 
Il progetto ha contato anche sull’apporto di figure esterne?
Sì, numerosi sono stati i collaboratori esterni, a cui va il nostro grazie: Massimo Marchetti, che ha scritto un articolo sulla storia del clima, Adriana Padovani, autrice dei disegni che illustrano il Chronicon, Graziano Soravito, che ha elaborato le fotografie, e Mauro Vale, ideatore della copertina; infine, Claudio Lorenzini, studioso di storia moderna operante fino a pochi mesi fa presso l’Università di Udine, che ha accettato di presentare questo nostro primo esperimento editoriale. Desidero infine esprimere un ringraziamento particolarmente sentito a quei componenti del Gruppo Archivi che, oltre a dare un apporto personale alla realizzazione del progetto, hanno partecipato ai numerosi incontri con proposte costruttive, dimostrando fiducia nelle persone e rispetto del lavoro comune.